Le autorità cinesi stanno intensificando l'applicazione dei divieti sulle criptovalute dopo un'impennata del trading speculativo, con la Banca Popolare Cinese che avverte che tutte le attività legate alle valute virtuali restano illegali nonostante years of comprehensive restrictions.
La PBOC ha convocato il 28 novembre una riunione di alto livello di coordination con 13 agenzie governative, tra cui il Ministero della Pubblica Sicurezza, la Commissione Finanziaria Centrale e la Corte Suprema del Popolo, per affrontare quella che i funzionari hanno descritto come una ripresa della speculazione crypto spinta dall’aumento dei prezzi globali e dall’influenza dei social media.
«Le valute virtuali non hanno lo stesso status legale della valuta fiat e non possono essere utilizzate come moneta a corso legale nel mercato», ha dichiarato la banca centrale, sottolineando che «le attività commerciali relative alle valute virtuali sono attività finanziarie illegali».
L’azione coordinata di enforcement arriva mentre si stima che 59 milioni di utenti cinesi continuino ad accedere alle criptovalute nonostante le restrizioni nella Cina continentale, rappresentando circa l’8-10% dei partecipanti global al mercato crypto. La domanda persistente evidenzia la difficoltà che Pechino incontra nell’eliminare del tutto l’interesse per gli asset digitali, anche con barriere tecniche e legali molto estese.
Cosa è successo
L’ultimo avvertimento della PBOC pone particolare enfasi sulle stablecoins, che le autorità identificano come soggette a rischi elevati di utilizzo in attività illegali. La banca centrale ha affermato che le stablecoin «al momento non possono soddisfare in modo efficace i requisiti di identificazione della clientela e antiriciclaggio», rendendole vulnerabili a sfruttamento per frodi di raccolta fondi e trasferimenti transfrontalieri non autorizzati.
La dichiarazione del media cinese Caixin ha rilevato che la speculazione crypto è «riemersa» negli ultimi mesi, spingendo la risposta coordinata del governo. I funzionari hanno incaricato i dipartimenti competenti di «approfondire il coordinamento e la cooperazione» migliorando al contempo le capacità di monitoraggio per «reprimere severamente le attività illegali e criminali».
Il rinnovato focus della Cina arriva nonostante mantenga le politiche più restrittive al mondo sulle criptovalute dal 2021. In quell’anno Pechino ha pubblicato avvisi organici per fermare la speculazione in valute virtuali e ha vietato le attività di mining, costringendo l’industria mineraria domestica, un tempo dominante, a spostarsi offshore. All’epoca, i funzionari della PBOC sostenevano che le misure avessero «rettificato il caos nel mercato delle valute virtuali, ottenendo risultati significativi».
Tuttavia, le lacune nell’applicazione hanno consentito il protrarsi di attività sotterranee. Reuters ha riferito a novembre che il mining di Bitcoin ha messo in atto un silenzioso comeback in Cina, che ora rappresenta circa il 14% dell’hashrate globale a ottobre 2025, rendendola la terza giurisdizione di mining dopo Stati Uniti e Kazakistan.
La ripresa deriva da capacità elettrica in eccesso in province ricche di energia come Xinjiang e Sichuan, dove l’energia in surplus da fonti a carbone e idroelettriche non può essere trasmessa in modo efficiente verso le città costiere. Il produttore di macchine da mining Canaan ha riportato che la Cina rappresentava solo il 2,8% dei suoi ricavi nel 2022 ma è balzata a oltre il 50% nel secondo trimestre 2025, indicando operazioni sotterranee di ampia portata.
Le autorità cinesi utilizzano molteplici meccanismi di enforcement per limitare l’accesso alle crypto. Il firewall nazionale blocca i siti di exchange esteri, mentre gli app store domestici segnalano le applicazioni delle piattaforme offshore come ad alto rischio. Banche e istituzioni di pagamento sono soggette a severi divieti nel processare transazioni collegate alle crypto e le piattaforme social, tra cui Douyin e Xiaohongshu, rimuovono attivamente contenuti promozionali e di investimento relativi alle criptovalute.
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Perché è importante
L’intensificarsi della stretta da parte di Pechino riflette crescenti timori che l’attività in criptovalute minacci la stabilità finanziaria e i controlli sui capitali, nonostante quattro anni di divieti estesi. La persistenza di 59 milioni di utenti dimostra che le restrizioni regolamentari hanno spinto l’attività nell’ombra più che eliminarla del tutto.
L’attenzione alle stablecoin segna un cambio strategico nelle priorità di enforcement. Questi token ancorati al dollaro consentono agli utenti di aggirare i controlli sui capitali evitando la volatilità delle criptovalute tradizionali, rendendoli particolarmente attraenti per le transazioni transfrontaliere. Il governatore della PBOC, Pan Gongsheng, ha dichiarato in ottobre che la banca centrale avrebbe «seguito da vicino e valutato dinamicamente lo sviluppo delle stablecoin estere», segnalando una maggiore attenzione regolamentare verso questi strumenti.
Il timing della stretta coincide con lo sviluppo a Hong Kong di un quadro di licensing per le stablecoin, entrato in vigore nell’agosto 2025. L’approccio favorevole all’innovazione di Hong Kong, in contrasto con i divieti della Cina continentale, crea un panorama regolamentare frammentato nella Grande Cina, con il 26% degli investitori in ETF della regione che prevede di allocare in ETF crypto nel 2025 secondo dati recenti.
La stretta della Cina si inserisce nello sfondo dell’espansione dello yuan digitale. La valuta digitale della banca centrale, e-CNY, ha servito oltre 261 milioni di utenti e processato 13,8 miliardi di dollari in transazioni fino al 2025, offrendo alle autorità un’alternativa statale e controllata alle criptovalute decentralizzate, con funzionalità di sorveglianza integrate.
Per i mercati crypto globali, il rinnovato enforcement della Cina sottolinea la persistenza di una frammentazione regolamentare nonostante la crescente adozione mainstream altrove. Mentre giurisdizioni come Stati Uniti, Unione Europea e Hong Kong sviluppano quadri per accogliere gli asset digitali, Pechino mantiene il suo divieto organico, ritenendo le criptovalute fondamentalmente incompatibili con il controllo finanziario centralizzato.
La PBOC ha invitato le agenzie partecipanti a «monitorare i flussi di capitale, rafforzare le reti di condivisione delle informazioni, migliorare ulteriormente le capacità di monitoraggio» per intensificare l’enforcement. Tuttavia, il perdurare delle operazioni di mining sotterraneo e la domanda degli utenti tramite VPN e piattaforme offshore suggeriscono che le barriere tecniche e legali da sole non possono eliminare completamente l’attività crypto quando gli incentivi economici restano forti.
Osservatori del settore notano che la posizione rigida della Cina non ha impedito la sperimentazione tecnologica. Oltre 100 imprese cinesi offrono ora applicazioni blockchain in settori tra cui sanità, verifica dell’identità e logistica, indicando che le autorità distinguono tra tecnologia blockchain permissioned e criptovalute permissionless.
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