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Il cambio di regole MSCI potrebbe imporre vendite di titoli legati alle crypto per 15 miliardi di dollari entro febbraio 2026

Il cambio di regole MSCI potrebbe imporre vendite di titoli legati alle crypto per 15 miliardi di dollari entro febbraio 2026

Una proposta del fornitore globale di indici MSCI di escludere le società che detengono una parte consistente dei loro bilanci in asset digitali potrebbe costringere a deflussi passivi compresi tra 10 e 15 miliardi di dollari già da febbraio 2026, secondo un’analisi della consultation now underway.

A ottobre, MSCI ha iniziato a raccogliere feedback sulla possibilità di rimuovere dai suoi Global Investable Market Indexes le società le cui partecipazioni in crypto equivalgono almeno al 50% del totale degli asset.

Cosa è successo

Un list preliminare identifica 39 società, tra cui 18 componenti esistenti e 21 aziende attualmente al di fuori dell’universo indice, che verrebbero escluse da qualsiasi futura inclusione.

La capitalizzazione di mercato flottante complessiva del gruppo interessato ammonta a 113 miliardi di dollari, con le società statunitensi che rappresentano il 92% dell’esposizione totale.

Una sola società, Strategy, rappresenta 84,1 miliardi di dollari, pari a quasi tre quarti dell’impatto complessivo sul capitale, rendendola la singola principale fonte di potenziale turnover negli indici.

Gli analisti avvertono che il quadro di esclusione si discosta nettamente dai principi di riferimento consolidati di MSCI, che enfatizzano neutralità, rappresentatività e basso turnover.

I documenti della consultazione evidenziano che non esistono restrizioni paragonabili per le società che detengono ingenti quantità concentrate di altri tipi di asset come oro, liquidità o riserve in valuta estera.

Notano inoltre il precedente, all’interno degli indici MSCI, di includere entità con bilanci altamente concentrati, come i REIT e le holding diversificate.

Se attuata così come redatta, la modifica delle regole richiederebbe la rimozione forzata dei componenti attuali durante la revisione degli indici di febbraio 2026.

La stessa struttura di MSCI suggerisce che i fondi passivi che replicano i benchmark interessati, tra cui MSCI USA, World, ACWI, Japan, Europe ed EM, non avrebbero margine di discrezionalità per mantenere l’investimento, portando a ciò che il rapporto definisce come “danno materiale per gli investitori”.

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I costi stimati includono:

• Pressione di vendita passiva tra 10 e 15 miliardi di dollari
• Costi di turnover tra 50 e 225 milioni di dollari sui prodotti indicizzati legati a MSCI
• Tracking error compreso tra 15 e 150 punti base a seconda della volatilità di mercato
• Esclusione permanente per le 21 società non ancora componenti che verrebbero bloccate da qualsiasi ingresso futuro nell’indice

Perché è importante

I critici sostengono che la proposta ridurrebbe la rappresentatività degli indici e comprometterebbe la replicabilità per i fondi tenuti a seguire da vicino i benchmark MSCI, in particolare per i portafogli istituzionali che operano con rigidi limiti di tracking error.

Il documento contesta inoltre il ragionamento di MSCI che assimila queste società a “entità simil-fondo”, affermando che le aziende interessate sono imprese operative le cui strategie sugli asset digitali fanno parte della gestione di tesoreria e non veicoli di investimento passivo.

Vengono delineati diversi approcci alternativi, tra cui etichette di divulgazione rafforzata, riclassificazione settoriale, filtri basati sulla liquidità e aggiustamenti graduali dei pesi, ognuno concepito per preservare la trasparenza senza innescare vendite forzate per miliardi di dollari.

MSCI dovrebbe annunciare la propria decisione il 15 gennaio 2026, con implementazione prevista per febbraio 2026 se l’esclusione verrà approvata.

L’esito è ormai considerato una delle decisioni di benchmark più importanti degli ultimi anni, con possibili effetti a catena per i mercati azionari globali, le società esposte agli asset digitali e i veicoli di investimento passivo a livello mondiale.

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